In silenzio e con gli occhi bassi. Così sono tornata dalla visita del complesso che ospita il campo concentramento Auschwitz e quello di sterminio di Birkenau (Auschwitz II), distanti l’uno dall’altro solo due km. Due km che separavano i condannati a morte dai condannati alla vita.
Già, vita. Ma quale vita era quella di un “ospite” di Auschwitz? La neve solitamente con il suo candore ovatta e ingentilisce tutto. Ma qui no. Questo posto, nel suo drammatico silenzio, urla tutto l’abominio del mondo. Non sono credente, ma se l’al di là esistesse davvero, mi auguro che un girone infernale sia tutto per loro, per gli architetti di Auschwitz.
Visitare il Campo concentramento Auschwitz: un doveroso tuffo al cuore
Quante volte nei film, nei telegiornali e nei documentari ho visto questa cattiveria in lettere trascritta e appesa all’ingresso per schernire chi la varcasse. Ora che ci sono sotto quasi non ci credo.
Il fatto è che non sono passati così tanti secoli da vivere tutto come un percorso storico: quello che è accaduto qui agli ebrei di tutta Europa è ancora “caldo” e deve rimanere vivo, come se fosse tutto successo ieri.
Non è come visitare un memoriale, un cimitero militare o uno di quei musei delle torture, questo luogo non è una fiction ma una concretizzazione di tutto il male che un cervello umano possa partorire.
Io credo che non basti una sola giornata della memoria, non esagero se affermo che ci vorrebbe un tatuaggio numerico sul braccio per ognuno di noi, soprattutto per i cretini che si fanno fotografare con le dita a “V” sotto le parole Arbeit macht frei. A certe persone visitare il Campo concentramento Auschwitz dovrebbe essere vietato.
Credetemi, sono tanto ma tanto sdegnata, non immaginavo che facesse questo effetto.
Ho visitato i campi di concentramento ben coperta con un giubbetto di pelle imbottito, sciarpa guanti, cappello e in sole tre ore e mezza (la durata della visita guidata) sono morta dal freddo pensando ai terribili inverni polacchi con quella squallida tuta a righe.
Ma la devastazione morale e fisica l’ho subita a Birkenau, lì ho creduto di lasciarci le mani, anche la compatta ha deciso di abbandonarmi ghiacciandosi letteralmente sulla lente per le successive 12 ore.
Il vento era talmente freddo e gelido che ci ha cotto la pelle del viso (tanto che al mio ritorno in Italia sembravo abbronzata).
La visita guidata in italiano ci ha subito introdotti nel complesso di Auschwitz I nato da una vecchia caserma militare polacca, e poi convertito in centro amministrativo e campo di lavoro. Inizialmente veniva usato per imprigionare dissidenti, intellettuali e prigionieri politici.
Ma anche il campo concentramento Auschwitz aveva il suo edificio con forni crematori e camera a gas, l’unica rimasta ancora intatta e visitabile. Questo perché i “bastardi” quando si resero conto dell’imminente avanzata dell’esercito sovietico, fecero vigliaccamente sparire tutto dando fuoco a documenti, oggetti, persone e facendo saltare in aria le prove più miserabili.
Si stima che il 90% delle prove sia andata distrutta. E non contenti, per non far ritrovare i prigionieri/testimoni ancora in vita nei principali campi polacchi, costrinsero migliaia di ebrei già stremati dalle sofferenze del Lager, alle Marce della Morte: km e km nel gelido inverno per raggiungere il territorio tedesco. Inutile dire che molti morirono per strada.
Nel mio immaginario ho sempre pensato che le camere a gas fossero mascherate da docce con le tubazioni che invece dell’acqua emettessero del gas… invece “il gas” non era altro che il Zyklon B un composto chimico (ironia della sorte fu sviluppato da Fritz Haber, un ebreo tedesco impiegato della Bayer) in forma di pietrisco: un potente e letale insetticida che veniva gettato in queste camere dall’alto attraverso dei buchi sul soffitto.
La gente moriva asfissiata in preda a dolori terribili, tanto che i “bastardi” posizionavano un camion col motore acceso in prossimità della camera a gas per non far sentire le urla dei poveri condannati. In questa teca c’è solo una minima parte dei barattoli di Zyklon B usati per sterminare i prigionieri.
Quasi tutti i “Blocchi” del Campo concentramento Auschwitz sono visitabili. All’interno di questi edifici in muratura sono state allestite mostre fotografiche davvero tremende e sono stati raccolti migliaia di oggetti che i “bastardi” non sono riusciti a distruggere.
È stato agghiacciante vedere un’immensa teca con qualcosa come 2 tonnellate di capelli di donne morte nelle camere a gas.
Capelli che furono ritrovati imballati e pronti per essere spediti a fabbriche tedesche per imbottire materassi o farne addirittura tessuti. In segno di rispetto i capelli, molti dei quali ancora raccolti in bionde trecce, non si potevano fotografare, ma non avrei comunque scattato per nessuna ragione al mondo.
Fra un Blocco e l’altro ancora integre le torrette di guardia, la doppia recinzione con il filo spinato elettrificato e ogni tanto un patibolo dove venivano eseguite esecuzioni sommarie, impiccagioni ed altre brutture.
È molto toccante vedere gente (forse discendenti dei deportati, ebrei o semplicemente persone comuni) poggiare dignitosamente rose, lumini e bandiere ebraiche sulla neve o sul filo spinato.
La guida ci ha spiegato come il metodo di identificazione col tatuaggio fosse stato introdotto soltanto dopo che i “bastardi” si resero conto che scattare migliaia e migliaia di foto segnaletiche stava diventando troppo esoso per le finanze del campo.
Il settore più tragico di Auschwitz I (come se gli altri fossero meno tragici) era il Blocco dove venivano eseguiti gli esperimenti sui bambini: il dottor Mengele “l’Angelo della Morte” aveva l’ossessione per i gemelli, li selezionava appositamente per condurre criminosi tentativi di riprodurre la razza perfetta.
Ho i brividi a pensare a quanti bambini non sono più tornati o sono tornati senza voglia di parlare e con problemi psichici. Poi c’era il Blocco 10 dove venivano sterilizzate le donne attuando così una sorta di sterminio biologico. E poi l’infernale Blocco 11.
Vedere i sotterranei del Block 11 è stato terrificante: le celle dove venivano torturati i prigionieri ebrei erano diversificate in base alla tipologia di morte.
C’era la cella dove si moriva per fame, la cella murata dove si moriva soffocati e le celle dove venivano rinchiusi in 4 (non ci si crede a guardarla) in UN METRO QUADRATO!
Praticamente erano costretti a stare in piedi fino al sopraggiungimento della morte. Inoltre il cortile interno del Blocco 11 era teatro di feroci esecuzioni.
Qui è stato ricostruito il Muro della Morte (i bastardi avevano distrutto anche quello), dove vennero fucilate barbaramente migliaia di persone.
La visita ad Auschwitz I termina passando dinanzi al patibolo sul quale fu giustiziato Rudolf Höß il comandante del campo concentramento Auschwitz. Mi credete se vi dico che alla sua vista una malevola soddisfazione ha serpeggiato silente fra tutti noi visitatori?
La visita del Campo concentramento Auschwitz: da Auschwitz a Birkenau
Birkenau si raggiunge grazie alle navette messe a disposizione dalla fondazione del Museo di Auschwitz. C’è parecchia ressa per salire a bordo per mettersi al riparo da vento e neve che, senza accorgerci, ci ha letteralmente inzuppati dalla testa ai piedi.
Molti del nostro gruppo non se la sono sentita di raggiungere anche Birkenau, lasciando allibita la guida che ha affermato di non aver mai “perso” così tanti partecipanti!
Ribadisco ancora una volta che il freddo è stato tremendo, anche perché abbiamo camminato nella neve all’aperto e contro vento in un enorme campo in cui gran parte dei Blocchi e delle baracche di legno erano stati rasi al suolo dai “bastardi”.
È a Birkenau, tramite la Bahnrampe, che arrivavano i famosi vagoni della morte, qui si svolgevano le odiose selezioni in cui si veniva condannati a morte oppure condannati ad una vita di atroci sofferenze. Qui si privavano i prigionieri della propria dignità e dei propri averi. Era qui che c’erano i “roghi”, le immense fosse con i corpi ammucchiati che ardevano incessantemente giorno e notte per smaltire l’eccedenza delle vittime che i forni non riuscivano a “trattare”.
E ancora è qui che c’erano le famose baracche con i letti a castello in legno in cui dormivano i poveri Sonderkommandos, i prigionieri ebrei costretti a compiti indicibili.
Erano loro a dover estirpare i denti d’oro ai propri morti, a dover rasare i capelli delle donne e a dover caricare i corpi nei forni. Le parole di Primo Levi per definire questi poveri disgraziati calzano perfettamente e rendono l’idea:
“Aver concepito ed organizzato i Sonderkommandos è stato il delitto più demoniaco del nazionalsocialismo. Attraverso questa istituzione si tentava di spostare su altri, e precisamente sulle vittime, il peso della colpa, talché, a loro sollievo, non rimanesse neppure la consapevolezza di essere innocenti“.
La Fondazione del Museo di Auschwitz ha voluto ed ottenuto che il campo Birkenau rimanesse tal quale come si presenta oggi. La maggior parte degli edifici sono saltati in aria e quello che è visibile sono solo i binari, le torrette di guardia e le macerie dei forni e delle camere a gas ricoperte da una coltre di neve. Tutto questo oggi è Patrimonio Unesco in memoria delle oltre UN MILIONE E CINQUECENTO MILA persone che vi hanno perso la vita senza motivo.
Negli anni successivi alla liberazione di Auschwitz da parte dei russi, il mondo ci ha messo un po’ per scoprire e capire cosa fosse un Lager e per metabolizzare parole come deportazione, genocidio, shoah, olocausto. I tedeschi fecero in modo di coprire bene le loro nefandezze anche in altri campi di concentramento sparsi in Europa centrale, tanto che nemmeno gli stessi prigionieri all’inizio sospettavano la fine terribile che li aspettava.
A questo proposito, in una delle sale espositive, mi ha colpito particolarmente una foto in cui si vedevano prigionieri ebrei appena scesi dal treno. In fila con i propri bagagli e con i volti sorridenti rivolti alla macchina fotografica. Ecco, se ripenso a tutta la visita mi viene in mente quella foto e il tuffo al cuore che mi ha causato, al pensiero della sorte di quei volti ancora sorridenti.
Anni dopo, il processo di Norimberga ha condannato e giustiziato molti dei “bastardi” responsabili di quella che fu denominata ironicamente la “soluzione finale della questione ebraica” consegnando al mondo una verità agghiacciante e vergognosa che ancora urla sotto quelle macerie e sotto quella coltre di neve.
Visitare il campo concentramento Auschwitz da Cracovia: info utili
- L’ingresso è gratuito, ma la visita con la guida in lingua italiana costa 45 Zloty, circa 10 € e si tiene tutti i giorni alle 11:45. Verrete dotati di cuffie e radiolina in modo da ascoltare la voce della guida anche allontanandovi per scattare qualche foto. Vi consiglio di prenotare online per tempo perché i posti sono limitati.
- All’ingresso ci sono i controlli come in aeroporto: dispositivi elettronici, roba metallica ecc andranno riposti nelle ceste prima di passare sotto il metal detector. Zaini e borse voluminose non sono ammessi, vanno lasciati in deposito custodito a pagamento.
- Senza guida potete aggirarvi liberamente nel campo, ma la voce di una persona del posto che aiuti ad approcciarsi ad Auschwitz è consigliabile.
Sul sito ufficiale si può prenotare la visita e dare un’occhiata ad orari, disponibilità e regole. - Per arrivare ad Auschwitz da Cracovia dovrete recarvi alla stazione degli autobus adiacente alla stazione principale, alle spalle del Centro Commerciale che ho descritto qui.
La stazione degli autobus è moderna, ha due piani dai quali partono bus e navette per diversi centri nevralgici della Polonia. Cercate il bus con destinazione Oswiecim, il nome polacco della cittadina Auschwitz. - Il biglietto costa 14 Zloty (poco più di 3 Euro) si può fare a bordo, in biglietteria oppure online come ho fatto io qui. La durata del viaggio è di 1 ora e 30, ma con il traffico (attraversando centri abitati più un lungo tratto autostradale) noi ci abbiamo impiegato 2 ore all’andata e 2 ore e 30 al ritorno. Quindi programmate la corsa (partono ogni 30 minuti circa) considerando il traffico e l’orario della visita guidata.
- Se visitate il campo concentramento Auschwitz nei mesi invernali è consigliabile abbigliamento termico contro freddo e acqua, soprattutto per mani e piedi.
- Nel complesso ci sono toilette e piccole zone ristoro prima dell’ingresso.
Visitare il Campo concentramento Auschwitz non è per tutti: considerate di non tornare più gli stessi.
Special thanks to Auschwitz-Birkenau Foundation
Non sono mai stata ad Auschwitz ma ho visitato altri campi di conconcentramento quando vivevo in Germania. Beh, che dire… in realtà non ho molto da dire, se non descrivere il grande orrore provato. A volte i brividi non sono solo per il freddo. Non credo riuscirei a replicare l’esperienza, ma sarebbe bello se tutti almeno una volta nella vita si recassero in questi luoghi con il dovuto rispetto, per capire e possibilmente non ripetere.
Un abbraccio!
Ci sono periodi storici che mi straziano il cuore… lo sterminio degli ebrei è uno di quelli.
Leggere il tuo articolo mi ha devastata. Non che non fossi a conoscenza di tutte queste torture, ma ogni volta la mia testa non riesce ad accettarne il motivo.
Sono stata mesi fa al campo di concentramento di Sachsenhausen, in Germanaia; bhè, le lacrime scendevano senza che me ne accorgessi.
Auschwitz dev’essere ancora più terrificante.
Un abbraccio!
Solo a vedere le tue foto mi si lacera il cuore. Come ti avevo scritto già (credo su instagram) vorrei visitare questo luogo. Credo che ci faccia bene, credo he ci segni e ci possa cambiare in positivo.
Certe volte ci dimentichiamo come l’essere umano possa scendere così in basso.
Sono stata al campo di concentramento di Mauthausen in un giorno di un freddo aprile e vivo quelle sensazioni come se fosse ieri, anche attraverso la tanta bibliografia che ho letto a proposito…non credo ci sia bisogno di dire altro, sei stata forte a proseguire il percorso!
Guarda, mi sono venuti i brividi solo leggendo, non oso immaginare cosa si possa provare lì. Però è una visita che mi piacerebbe fare, è importantissimo mantenere memoria di una delle cose più orribili commesse dagli uomini.
Abominevole, agghiacciante, atroce: non ci sono ancora le parole giuste per descrivere la cattiveria di cui si è reso capace l’uomo. La cosa che toglie il fiato – oltre a vedere con i tuoi occhi quello che è successo – è il pensiero che queste atrocità non risalgono alla preistoria, ma a un passato che è proprio dietro l’angolo. Potrebbe essere successo ai miei nonni, per esempio, non a delle persone lontano nello spazio e nel tempo.
Sono stata anni fa a visitare Mauthausen e le sensazioni sono le stesse che descrivi tu; i ricordi sono ancora vivissimi dopo anni.
Complimenti per aver descritto tutto in maniera molto precisa e molto delicata, immagino che non sia stato facile.
Ho visitato Auschwitz Birkenau alle scuole superiori, partecipando ad un progetto che si chiama “Treno della Memoria”. La cosa che mi è rimasta più impressa sono proprio i capelli chiusi dietro quella vetrina, e tutti gli oggetti personali di quelle povere persone. Non riesco a capacitarmi di come gli uomini abbiano potuto fare tutto questo ad altri uomini, con il mondo in silenzio che stava a guardare. Ma del resto, non siamo poi così diversi nemmeno oggi, purtroppo… 🙁
Provo a lasciarti un commento. Ma sono in difficoltà okay? Quindi prendi un pò come viene questa serie di riflessioni. Per me arrivare alla fine del post è stata dura, perché poi mi assale come sempre una crisi di pianto mista a nervoso omicida.
Io Daniela “vivo” l’argomento olocausto fin da piccola, perché una mia vecchia insegnante ci introdusse a questo vergognoso momento di storia e da allora ho desiderato approfondire. Vergognoso non solo per i bastardi, ma anche per quella parte di mondo che ad un certo punto sapeva, ma continuava a tacere.
Poi la mia curiosità di ragazzina, mi ha portata fino a Trieste, alla Risiera di San Sabba, campo di smistamento (con camino e crematorio…), mi ha portata a leggere tanto sull’argomento. Spesso anche romanzi, ispirati a storie vere (per cui non libri di storia). Ma non ti nego che ho fatto anche qualche ricerchina per capire da dove tanto odio fosse scaturito, da dove è iniziato. Sono finita talmente indietro che credo di aver perso qualche mese di vita.
Nulla comunque ha dato una motivazione alla follia dei bastardi. Ci sono diverse spiegazioni. Ma non mi piacciono per quanto vere, perché sembrano quasi voler giustificare. E qui non c’è un cazzo da giustificare o da catalogare sotto motivi storici, religiosi ed economici. C’è solo da augurarsi che stiano pagando per l’eternità lo stesso peso del loro odio.
Ora però, devo dirti proprio tutto. Dirti che la mia rabbia negli ultimi anni è triplicata, quando mi sono resa conto che i nipoti? bisnipoti? delle persone che subirono un tale abominio, applicano una mancanza di umanità agghiacciante contro i palestinesi. Che per certi versi mi fa dire: “Ma se io non riesco a dimenticare, accettare, quantificare, ciò che è successo alla vostra gente, voi come diavolo avete fatto a depennare quell’orrore e, con altri mezzi, riapplicarlo?”.
Ma lascia stare, questa è una mia riflessione personale, che esce fuori perché non ho filtri. Li ho chiesti per Natale.
Detto ciò, hai scritto un reportage che dovrebbero far leggere ad un bel pò di italiani e a tutti gli studenti, per insegnare qualcosa sul significato più profondo della locuzione “odio razziale”.
E quelle foto….io stanotte non riuscirò a dormire..
Claudia B.
Sei un’orsa coraggiosa… Io non riuscirei mai a visitare questi luoghi…come ti avevo già scritto su Twitter, sono una vigliacca. Il dolore che ho provato già solo guardando le tue foto è stato quasi fisico, intollerabile. Figuriamoci dal vivo… Bellissimo articolo. Trasuda di amore e pietà❤ A scuola ci hanno insegnato che “il secolo buio” è il Medioevo… Beh, il Novecento non scherza…
Bellissimo post. Sono commossa e incredula davanti a tanto male. Come tutti mi chiedo come sia stato possibile che tanti uomini potessero essere in grado di arrivare a tanto. Nessuna follia può giustificare un simile capitolo di storia. Ciò che è peggio e che oggi, ancora oggi, lo stesso abominio si ripete sotto gli occhi di tanti indifferenti. Mi sento impotente. Sono impotente. Credo che l’unica cosa che possiamo fare sia raccontare.
Ciao Daniela, ho letto il post tutto d’un fiato ed ho finito con gli occhi lucidi. Non ho mai visitato un campo di concentramento e posso solo immaginare le sensazioni che si provano. Mia sorella in quinto superiore fu portata a visitare Dacau, ci credi che a parte “mi sono messa a piangere tutto il tempo ” non ha detto altro in più? Sono d’accordo con te un giorno della memoria é troppo poco, spesso mi domando cosa resterà di tutto questo orrore e come verrà percepito dai più giovani quando l’ ultimo sopravvissuto non ci sarà più. Un viaggio in questi luoghi orribili credo sarà fondamentale.
Io avevo 13 anni quando con alcuni miei compagni delle medie sono stata a Dachau, Mauthausen, Castello di Artheim e altri luoghi atroci di questo tipo. Avevo 13 anni e in quei posti ci ho trascorso 5 giorni consecutivi, ho conosciuto tanti sopravvissuti, ho pianto tutte le lacrime del mondo e sono cresciuta di qualche anno in pochi giorni. Credo che sia stata un’esperienza che mi ha segnato tantissimo, una cosa che non dimenticherò mai, nel bene e nel male. È grazie a queste esperienze che si cresce aperti e tolleranti, che si fa chiarezza (o almeno, ci si prova) sull’enorme portata che la cattiveria umana può arrivare ad avere, che si vive tutta la vita con la consapevolezza che la storia che studiamo a scuola è la NOSTRA storia, non quella di un qualche sconosciuto di cui non ci deve importare niente. L’odio verso quelli che tu chiami “bastardi” è comprensibile all’ennesima potenza, e se ripenso alle cose che ho visto, se riguardo le tue fotografie, l’odio mi sale anche a me. Ma l’odio alimenta l’odio, per cui dovremmo investire le nostre emozioni di fronte a quest’epoca storica non odiando, ma trasmettendo una storia di tolleranza e di compassione (nel senso più bello del termine) a chiunque voglia ascoltare.
Non so neanche io se ho detto qualcosa di sensato in questo commento, ma quando si parla di queste cose i miei ricordi tornano e 14 anni fa, alle immagini che ho ancora estremamente nitide nella mente e alle parole che scrissi per la scuola qualche giorno dopo la visita: di tutte queste persone che sono morte inutilmente, l’unico spiraglio di vita siamo noi che siamo sopravvissuti e che sopravviviamo ogni giorno alle brutture che il mondo ci invia ogni giorno.
Hai scritto un post accurato, preciso, molto chiaro, pieno di emozioni forti, molto toccante. Ti ringrazio e spero che lo leggano in tantissimi.
Non credo esista un luogo più triste. Con la neve, poi, l’atmosfera è spettrale. La cosa che più mi fa ribrezzo, oltre a ciò che Auschwitz rappresenta, è la mancanza di sensibilità di certa gente che ha il coraggio di farsi i selfie in luoghi del genere.
Ho i brividi solo a leggere e ammetto di avere staccato gli occhi più volte dal tuo racconto, di fronte a tanta crudeltà, disumanità e orrore. Chi si fa un “selfie” in un luogo del genere come le persone che hai citato è solamente un imbecille privo di sensibilità. Io non ho ancora avuto il coraggio di visitare un campo di concentramento, mi spaventa avvicinarmi così tanto a luoghi intrisi di dolore, ma sono convinta che non ci sia miglior viaggio di quello che ci insegna qualcosa. È giusto e quasi doveroso visitare i campi di concentramento, per non dimenticare e per evitare che l’essere umano riarrivi a tanto. Un abbraccio
Si percepisce il tuo dolore, leggendo questo reportage su un pezzo di storia che prima o poi sarà sepolto da altri pezzi di storia. La cattiveria, l’assoluta ignoranza (“Perdonali perché non sanno quello che fanno”) dove sono finite adesso? Furono talmente surreali che mi chiedo dove si trovino i loro residui in giro per il mondo. Chissà perché, quello che avviene adesso e con cui il telegiornale anestetizza tutti noi, appare infatti più “normale”. Forse è proprio l’effetto-tv, l’effetto notizia a minimizzare il tutto. Io studierei la cattiveria, la radice del male, sempre che ne possa davvero venire a capo.
Hai fatto bene a inserire quella frase di Primo Levi… Ho amato questo scrittore come fosse un mio parente e ricordo la sofferenza con cui la lettura di ogni rigo di “Se questo è un uomo” mi ha accompagnata.
Ho fatto fatica anche a scorrere le foto sul computer, mi chiedo come mi sentirei entrandoci… la storia contemporanea mi ha sempre destato grande interesse e ho approfondito bene gli argomenti soprattutto quelli che riguardano la seconda guerra mondiale, vedendo documentari, sentendo testimonianze e leggendo libri…ma una prova così diretta, sul campo, ti spezza davvero in due.
Questo post mi ha lasciata senza parole. E comunque anche io mi immaginavo le camere a gas come delle stanze con docce che facevano uscire gas, non sapevo uscisse pietrisco tossico.
In tutto ciò credo che sia stata una “fortuna” trovare Auschwitz con la neve, le immagini sembrano davvero quelle dei documentari e non fatico a credere che tu sia morta di freddo in quei posti.
Mi salvo il post, prima o poi ci andrò anche io. Grazie per aver riportato la tua esperienza :*
Nel 2010 sono stata a Dachau, ricordo quel gelo che taglia in due ossa e pensieri, quella maledetta scritta pronta a darti il “benvenuto” e quella neve bugiarda che, come giustamente dici te, in qualsiasi altro contesto è la cosa più pura del mondo mentre qui diventa spettrale, quasi demoniaca. Eravamo in due e ci perdemmo per circa 5 minuti durante i quali la mia amica arrivò alla camera a gas ma si rifiutò di entrarci da sola, troppo dolore racchiuso dentro un’unica stanza. Ricordo perfettamente quella sensazione di smarrimento, l’aver bisogno quasi di stringerci per trovare un po’ di bene in quella landa dell’orrore. Ogni crac della scarpa sul ghiaccio ed ogni stellina di neve che candidamente scendeva ci congelava fin dentro al midollo e non potevamo fare a meno di pensare a queste povere anime vestite di stracci e senza scarpe, guanti o cappelli. E come diamine sia possibile partorire qualcosa del genere? Quale soddisfazione sarà mai possibile trarre dalle “dicasi “sofferenze” ma leggasi sterminio” di una qualsiasi persona? E spero che gli ideatori, i curatori, i soldati ed in generale chiunque abbia preso parte a questa follia, si ritrovi nel peggiore dei girone infernali, per sempre..e che ogni sua reincarnazione possa ricordargli le atrocità compiute in quella vita dedicata al demonio.
Dimenticavo..girone infernale dedicato a quelli che si fanno l’autoscatto sotto la scritta con le dita a “V” di vattelapigliànder….
Mamma mia…..quanto dolore!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Non so se te l’ho detto ma il mio compagno ha scritto la sua tesi di laurea proprio sull’Olocausto e si è specializzato negli anni sullo sterminio, motivo per cui abbiamo visitato diversi campi, siamo stati allo Yad Vashem e ovunque viaggiamo in Europa andiamo alla ricerca dei luoghi in cui le persecuzioni e lo sterminio si sono consumati. E ancora oggi la nostra mente non riesce a capacitarsi di questa assurda follia
Ciao Simona! No mi pare di no. Sai credo che sia una voglia di sapere e di approfondire che vada oltre lo studio. Anche io in verità lo faccio…vedi il memoriale che ho pubblicato oggi su IG. Anche quello è in ricordo dello sterminio di 10 mila ebrei lituani uccisi durante l’occupazione nazista. Il museo annesso è ancora più toccante del memoriale stesso, ci sono foto che non ho mai voluto pubblicare. Forse è proprio quello che cerchiamo di afferrare nella nostra ricerca: il perché, la motivazione di quell’assurda follia. E puntualmente ce ne torniamo a casa sempre più confusi 🙁