Che ironia il destino, uno spazio di clausura intenzionale che diventa un luogo di detenzione involontaria.
Dalla preghiera alla rassegnazione, le secolari mura di queste celle hanno ospitato frati, reclusi, e infine offerto un riparo agli esclusi.
Ma a prescindere dall’intenzionalità, certa è la cattiveria del mare al di là delle grate, presenza fissa e spietata, laddove la penitenza quotidiana riconduceva a Dio o alla società.
Vespri, passi in preghiera, urla, baccano carcerario e poi il silenzio. Il silenzio dell’abbandono.
Era il 1559 quando il rigore di queste celle dava ospitalità a 25 frati cappuccini e alla loro severa regola di solitudine ed essenzialità. Questo tetro e inquietante edificio comprendeva una bella biblioteca, 43 celle, un’officina, orti, luoghi di lavoro e di preghiera.
E ora? E ora demanio e dominio della vegetazione.
Un’esplorazione questa, che ha un assoluto carattere di surrealtà, dove con una spartana soluzione di continuità, gli spazi di preghiera si confondono con gli scarni ambienti di un ex carcere.
Ex convento, ex carcere.
Osservare la regola: l’ex convento
Difficile non cedere alle suggestioni mentre mi perdo tra bui e silenziosi corridoi, alternando e posando il passo qui dove si osservava la regola, lì dove invece la s’infrangeva.
È come esplorare due luoghi in uno: una passeggiata stratificata in cinque secoli di storia che iniziano da un prezioso affresco ormai sbiadito e irriconoscibile, e finiscono sull’inquietante rivestimento in linoleum che cade a pezzi dai corridoi.
Ma si sa, l’abbandono si fa degrado, e il degrado si fa pericolo. Per poco non metto i piedi su un tratto di pavimentazione pericolante e insidiosa. Cancelli chiusi e passaggi ciechi mi costringono a vagare in un triste labirinto di corridoi bui dalle mura sgretolate.
Dell’antico convento purtroppo è rimasto ben poco. Con decreto napoleonico del 1810, moltissimi edifici ecclesiastici furono confiscati per essere riconvertiti a diversa destinazione: militare, industriale o penitenziaria.
E così le cellette divennero celle, non più incorniciate da porticine in legno, ma da severe e pesanti porte in ferro. Le finestre sigillate dalle grate, e i lunghi ambulacri interrotti da austere cancellate.
Quanti sospiri deve aver udito l’antico chiostro, dapprima santuario di erbe officinali, poi cortile per l’ora d’aria dei prigionieri. E ora prigioniero esso stesso di una giungla.
Della biblioteca, dell’officina e delle 43 celle non restano che stanzoni vuoti e morenti.
La cosiddetta secolarizzazione dei beni ecclesiastici ha sfrattato, solo in Italia, migliaia di uomini e donne appartenenti agli ordini religiosi più disparati: carmelitani, cappuccini, domenicani e tanti altri, colpevoli di essere ritenuti privi di utilità sociale.
Gli ordini furono soppressi, mentre conventi, chiese e monasteri vennero concessi alle amministrazioni locali per essere destinati alla pubblica utilità.
Invece i beni immobili, e le opere di particolare valore artistico, vennero “prelevati” e portati in Francia. Quella dei cosiddetti furti napoleonici, fu una vera e propria predazione attuata dall’esercito francese in tutta l’Europa centrale.
Al comando di Napoleone, le truppe francesi si produssero in una serie di sottrazioni che sconfinarono nel puro vandalismo. Nella sola Venezia smantellarono l’Arsenale e fusero il tesoro della Basilica di San Marco per recuperarne metalli preziosi.
Tra le ruberie in calendario, c’era anche lo scellerato progetto di staccare gli affreschi di Raffaello dalle stanze vaticane, e di impacchettare la Colonna Traiana per spedirla in Francia!
Se avessero potuto, avrebbero impacchettato anche chiese e conventi.
Ma questa è un’altra storia.
E così, quando i cappuccini vennero allontanati, il convento venne riconvertito in carcere.
Infrangere la regola: il carcere abbandonato
L’esplorazione prosegue in una suggestiva penombra, capace di rievocare un passato più recente. E decisamente più triste.
Ben distinguibile infatti è la sezione di isolamento, dove le celle sono dotate di massicce porte di ferro con tanto di feritoie a muro per l’ispezione.
Mi chiedo quanto fosse necessaria una detenzione così bruta, considerato il carattere “gentile” di questa sezione carceraria.
Quello che sto esplorando è infatti il braccio femminile, in attività fino agli anni ’80, dopo i quali il carcere fu abbandonato e lasciato definitivamente al suo degrado.
Ecco una scarpa démodé, un girello per bambini, uno specchio. Tristi testimoni di detenute private della libertà, ma non della propria femminilità.
E poi ancora quel mare crudele oltre le grate.
Man mano che gli ambienti severi e tetri del carcere lasciano il posto all’ala meno disastrata (ça va sans dire), faccio i conti con l’aspetto più antipatico della pratica dell’URBEX.
M’imbatto in giacigli di fortuna, materassi, un’amaca improvvisata, escrementi, decine e decine di cartoni di Tavernello. Questa zona del carcere abbandonato non mi piace, è infestata da un intenso puzzo.
Sì, qui ci vive qualcuno. Umani, abusivi senzatetto che profanano il passato con la sola presenza.
L’altare di quella che sembra essere un’antica cappella è invaso da effetti personali ovunque.
Scarpe, abiti gettati alla rinfusa, immondizia. Non me la sento di violarne gli spazi (io), ho rispetto della loro privacy (io).
Mi allontano senza fotografarne lo scempio, anche se nella mia mente ho invocato il purificatore lanciafiamme deluchiano.
Fotografare le rovine per farle rivivere è uno dei fini più nobili dell’URBEX, ma la dissacrazione e la scelleratezza no, quelle non meritano immagini.
L’evasione
È tardi, le due vite di questo luogo mi hanno fatto perdere letteralmente la cognizione del tempo. Il rischio è di inciampare al buio e finire in qualche voragine nei solai marciti, per non parlare del pericolo di incrociare gli occupanti abusivi.
Una corda lasciata da un precedente esploratore trasforma la mia uscita dal rudere in un’improbabile evasione, e come un vecchio ergastolano in fuga, afferro queste lenzuola annodate in versione urban per calarmi nuovamente nella libertà.
Mi allontano a passo svelto… all’imbrunire la facciata del carcere abbandonato appare più tetra e inquietante.
Per fortuna la mia esplorazione si conclude senza nessun colpo di scena, niente incontri spettrali, nessun’anima viva, né morta.
Eppure, la mia riacquistata libertà non è priva di inquietudine.
L’inquietudine di dover tornare libera, tra la gente troppo libera.
L’edificio è fatiscente e inagibile, ne sconsiglio la visita.
Reportage realizzato senza violare divieti e nel pieno rispetto dello stato di fatto.
Ho lasciando solo impronte, ho prelevato solo immagini.
Non solo difficile ma direi addirittura impossibile non cedere alle suggestioni in un posto simile, dove ogni rumore della natura o di un pavimento che scricchiola mi farebbe pensare al fantasma di un religioso o di un detenuto.
Peccato per le truppe francesi, e peccato ora per gli abusivi che trattano questo luogo come se non avesse valore. Sicuramente in questi casi è una questione di mancanza di fondi, ma dispiace vedere luoghi simili completamente abbandonati quando invece potrebbero essere convertiti in musei o scuole, o anche in alberghi per rimanere in tema di viaggio 😉
Sono sincera, mi aspettavo che accadesse qualcosa alla “Racconti del 31 Ottobre” e invece niente 😀
Mancanza di fondi sicuramente, ma non di volontà. Gli insediamenti abitati non sono così lontani, e i cittadini si sono proposti di ripulire e mettere in sicurezza il luogo in qualità di volontari. E niente, il degrado avanza. Però devo spezzare una lancia in favore delle amministrazioni preposte: questo edificio fa parte di un sistema talmente grande (ci sono altri conventi, palazzi nobiliari e carceri abbandonati) che all’epoca tutto il blocco prese il nome di Edifici Mondo. Ci vorrebbe una pioggia anzi, uno tsunami di soldi per recuperare tutto. Certo, strutture ricettive! Sarebbe fantastico: siamo alle porte della Costiera Amalfitana, una splendida vista sul golfo, il centro storico a due passi… oddio sto indicando troppi particolari 😛
Grazie Silvia!
Brava Daniela, hai fatto conoscere un’altra destinazione Urbex da urlo. Affascinante la storia di questo sito, prima sede di uomini di Dio e, poi, dimora di esseri immondi. Un parallelismo sacro/profano dal fascino indiscusso. Ancora una volta, siamo difronte ad uno scempio, ad un sacrilegio: l’abbandono di una struttura che potrebbe offrire ancora qualcosa di buono, vivere una rinascita
Grazie Fausto! Chissà, quando le amministrazioni si stancheranno di giocare a palleggio, magari questo posto vedrà la sua rinascita. Auspico una rinascita grandiosa perché è un complesso di edifici che merita tantissimo!
Nel frattempo ci pensano gli urbexer a richiamarne la memoria, anche se qui ci vorrebbe una seduta spiritica… altro che foto 😛
I senza tetto non li capirò mai, avrebbero di che dormire nelle strutture a loro dedicate (al caldo e al pulito), e invece prediligono posti come questo. Almeno li tenessero puliti… 🙁
Grazie ancora!
Cara Daniela, mi ero persa questo post!!! Non ricevo più le notifiche. Com’è possibile? L’ho scoperto per caso. Tornando all’Urbex, tu mi fai stare in ansia. Pavimenti e solai pronti a cedere !
Sbaglio o non hai scritto il nome dell’ex convento? Se non ricordo male su IG non avevi voluto rivelare il nome per salvaguardarlo. Comunque, come al solito ci porti a passeggio in luoghi insoliti dalla grande storia. Strano come un luogo votato all’isolamento volontario si trasformi in una prigione dove la detenzione non è più una scelta. Mi ha colpito la presenza di oggetti femminili ed infantili. Mi fa sempre tristezza immaginare i bambini costretti a crescere dietro le sbarre.
Peccato per il degrado. Capisco che chi vi abita certo ha ben altro a cui pensare ma spiace vedere luoghi così importanti lasciati a loro stessi.
Ma orsa resta a casa?
Ma veramente, quando si dice l’ironia! È che un edificio così si è prestato alla grande, con le celle e gli ambienti comuni già belli pronti. Hanno aggiunto solo qualche grata qua e là. Sì, i solai molto spesso sono pericolanti, infatti la regola numero 1 è quella di camminare sempre sui bordi e mai al centro. Non ti dico il colpo al cuore quando ho visto quel girello… che tristezza! Così come che tristezza l’immondizia lasciata dai senzatetto che potrebbero almeno “occupare con più ordine” 😉
Be’, i luoghi insoliti e abbandonati sono la mia passione, ne ho visitati diversi, infatti Chernobyl per me è stata la Disneyland dei luoghi abbandonati, e come sai desideravo andarci da anni 🙂
Eh Simona, l’intenzione è quella di dedicare un’intera sezione Urbex nel blog… visto che qui di tornare a viaggiare non se ne parlerà ancora per molto 🙁
Grazie per la lettura, in barba a WP ahahahah!!! 😛
Condivido con te il fascino dei luoghi abbandonati. Incredibile come si possa lasciare al degrado un luogo che di storia e storie ne ha da raccontare. Tanto patrimonio sprecato. Grazie per averci fatto scoprire un luogo così affascinante.
È vero che hanno un richiamo irresistibile? Io ormai non faccio altro che guardare i ruderi… che fine hahaahaaha!
Ma grazie a te Lilly! 🙂
Il convento è davvero suggestivo e inquietante. Peccato che sia in rovina, una struttura così avrebbe dovuto essere riconvertita e mantenuta.
Tu sei fidata troppo di quella corda, comunque 😀
Chi l’ha messa? Quando? Era una corda sicura?
Esatto, due parole proprio azzeccate, soprattutto se consideriamo che la giornata volgeva all’imbrunire!
Certi passaggi erano talmente bui da dover tenere acceso il flash del telefono, infatti devo prendere l’abitudine di portarmi dietro una pila tascabile, meglio ancora una lampada frontale, così ho le mani libere.
Hai ragione, mi sono fidata della corda e ho fatto anche di peggio… mi sono aiutata con le radici degli alberi che fuoriuscivano da quella parete! 😛
Grazie per la lettura, Daniele 🙂
Lampada frontale (in gergo speleo tikka) e casco 😉
Ne ho presa una su un famoso sito cinese che fa una luce assurda… costo 8 euro.
Oddio, le radici le uso anche io e mi paiono più affidabili, visto che tengono un albero 😀
Grazie per la dritta, la “luce assurda” è proprio quello che mi serve per la prossima esplorazione (bunker di una ex base NATO).
La ordino così ha tutto il tempo di arrivare (sperando nel frattempo di diventare nuovamente gialli) 😀
Grazie ancora! 🙂
Mi stupisce solo che qui dentro non ci siano degli spiriti di ex detenuti o vecchie suore. Resto sempre affascinato da questi luoghi, perché mi fanno domandare come potrebbe essere stata la vita qui, prima come suora in una vita dedicata alla preghiera, poi come detenuto, rinchiuso qui dentro per reati che magari erano contrari alla religione – e non era raro in passato. Ma fanno visite anche di notte???
Sai, riguardando le foto a me invece stupisce come io trovi il coraggio d’intrufolarmi in certi posti 😛
E per riagganciarmi alla tua domanda… certo, le visite in notturna sono organizzate da una guida d’eccezione: Jason Voorhees! 😀
Sto scherzando Luca, purtroppo il posto è davvero pericoloso perché non è in sicurezza. Le visite sono proibite sia di giorno sia di notte… sono io che devo darmi una calmata e visitare un rassicurante e tranquillo museo 😛
Grazie per la visita!
La tua penna è sprecata per un blog. Leggerti fa bene
È un complimento bellissimo, non ho parole se non grazie, Ernesto! 🙂
Sono luoghi dal fascino complicato. O ti conquistano o ti allontanano con forza.
Un carico umano quasi insopportabile di dolore e restrizione. Ma anche storie vissute, tante, infinite, che si perdono nel tempo.
Un tracciato puntuale di come le diverse epoche si siano susseguite.
Non ne accetto l’oblio ad ogni modo. E l’abbandono.
Mi fanno troppo male.
Caspita, un effetto tremendo su di te!
Per me invece è uno scambio guaritore: fotografo regalando una breve scintilla di vita ai ruderi dimenticati, e in cambio mi nutro di quello stesso oblio.
Non desidero altro che la polvere dei luoghi abbandonati sulle mie scarpe!
Grazie per le belle parole, Benedetta 🙂
Senti un po’, ma tra i fatiscenti corridoi del convento, non hai mica incontrato uno strambo gruppetto di frati con felpa e zainetto, in fila, che cantavano canti gregoriani!?
No, perchè, io mi sono imbattuta in loro in un’antica abbazia in rovina in Irlanda…!
Hahhahaahah, ma magari! Mi sarei accodata a voi tipo trenino di Capodanno, sappi che ancora sto ridendo per quella scenetta! 😛